Procedure decisionali nelle fasi di diagnosi, prognosi e controllo operativo dei modelli numerici di previsione del tempo2.2 CICLOGENESI E SISTEMI FRONTALIIl modello concettuale delle ciclogenesi e formazione di sistemi frontali fu introdotto per la prima volta da Bjerknes agli inizi del ventesimo secolo. In sintesi la definizione classica si basa sui seguenti aspetti: esse si formano esclusivamente sul fronte polare; si individua una progressione sistematica di strutture nuvolose ben definite ed organizzate; ai fini diagnostici si considera un unico livello di riferimento, in pratica la 850 hPa, dove molto elevati sono i contrasti termici: pertanto il tutto avviene nei bassi strati senza alcun ruolo attribuito ai livelli superiori; il tipo e l’intensità dei fenomeni dipendono dalle differenti caratteristiche termodinamiche delle masse d’aria in gioco. Queste ultime sono fondamentalmente tre: aria preesistente, aria calda e aria fredda rispettivamente a seguito del fronte caldo e freddo. In tal modo il sistema frontale viene visto come un soggetto alquanto isolato dall’ambiente circostante, cioè senza alcun scambio di masse d’aria con esso.
Tramite una più rigorosa trattazione matematica della dinamica dell’atmosfera e grazie alla disponibilità delle immagini da satellite, si è osservato che la formazione e l’evoluzione di una buona parte delle ciclogenesi delle medie latitudini non sono suffragate dal modello concettuale della scuola norvegese. Infatti è stato appurato che: esse si possono sviluppare, nell’ambito delle medie latitudini, in qualsiasi parte dell’emisfero indipendentemente dalla presenza del fronte polare; le strutture nuvolose ed i fenomeni associati ai fronti caldo, freddo e occluso, come definite dalla scuola norvegese, non sono sempre verificate; ad esempio nubi convettive possono essere riscontrate anche nel settore caldo; ai fini di una esaustiva trattazione delle ciclogenesi delle medie latitudini non è possibile limitarsi all’analisi dei bassi strati ma bisogna considerare le interazioni lungo tutta la colonna atmosferica; da un punto di vista energetico infatti la baroclinicità nei bassi strati è condizione necessaria ma non sufficiente alla generazione di un ciclone extratropicale. Queste considerazioni hanno condotto all’introduzione del cosiddetto modello “baroclino a due livelli”; un ciclone delle medie latitudini non può essere considerato come un sistema isolato ma deve necessariamente interagire con l’ambiente che lo circonda; ciò comporta l’inserimento di flussi d’aria esterni al sistema frontale in grado di alterarne le proprietà termodinamiche. Queste considerazioni hanno condotto all’introduzione del modello concettuale della conveyor belt.
In sintesi possiamo affermare che il modello di Bjerknes sia sostanzialmente accettabile per ciclogenesi alle alte latitudini oppure per quelle associate ad onde corte e di conseguenza veloci. Nei restanti casi è applicabile il modello “baroclino a due livelli” il quale presuppone l’esistenza di una zona baroclina nei bassi strati, con la quale interagisca, con effetto di innesco o “triggering”, una configurazione sinottica in quota capace di generare moti ascendenti. Inoltre, data la notevole frequenza con cui essa si presenta, la warm conveyor belt è diventata una caratteristica essenziale per definire un sistema frontale. |