Filosofia della matematica
Per filosofia della matematica si intende, in senso lato, la riflessione
filosofica circa la natura e le finalità della matematica,
nel suo duplice aspetto di scienza pura e di strumento interpretativo della
realtà.
Sebbene tale riflessione ricopra un ruolo di grande importanza nella storia
della filosofia fino dai suoi inizi, collegandosi tanto alla problematica
metafisica quanto a quella gnoseologica, è tuttavia solo verso la metà del
secolo scorso che la filosofia della matematica si struttura come disciplina
autonoma - più correttamente indicata col nome di "ricerca sui fondamenti
della matematica" -, dotandosi di una problematica relativamente ben
delimitata e avvalendosi gradualmente di uno strumento di indagine peculiare, la
logica matematica.
Per meglio inquadrare certi aspetti dell'indagine sui fondamenti, sarà
utile ricordare, pur brevemente e schematicamente, le posizioni di alcune
importanti filosofie della matematica del passato.
Nella filosofia greca, si riconobbe in generale il ragionamento matematico
(in particolare geometrico) come paradigma del ragionamento dimostrativo;
altrettanto comune fu il rifiuto del concetto di infinito attuale.
Vi si distinguono tuttavia due diversi atteggiamenti nei confronti dello
status ontologico degli enti matematici, e conseguentemente della portata del
sapere matematico: quello pitagorico-platonico e quello aristotelico.
Per il primo, gli enti matematici sono
reali e indipendenti dall'attività conoscitiva; la natura è strutturata
matematicamente, e quindi la matematica è lo strumento principe per
conoscerla.
Per il secondo, gli enti matematici sono costituiti dall'attività
conoscitiva per mezzo dell'astrazione; la matematica non coglie la realtà nella
sua essenza, perché questa è data dalle forme, irriducibili a meri rapporti
quantitativi.
Nel sec. XVII, con la nascita della nuova scienza, la matematica torna a
essere vista dai filosofi come lo strumento chiave per interpretare la
realtà.
Descartes concepisce la matematica come scienza generalissima dei rapporti e
delle proporzioni, e come tale fondamento primo del sapere universale.
Leibniz pare soprattutto insistere sull'aspetto linguistico e calcolistico
della matematica, arrivando in quest'ottica a stabilire una stretta
interconnessione tra matematica e logica. Diversamente Kant, che come Aristotele
concepisce gli enti matematici come costituiti e non in qualche modo già dati,
separa la matematica dalla logica: i giudizi logici sono puramente analitici,
quelli aritmetici sono sintetici a priori.
Abbiamo già detto che la ricerca sui fondamenti della matematica,
diversamente dalla tradizionale riflessione filosofica su tale scienza, si
avvale per la propria indagine di strumenti matematici e, in particolare, della
logica. Inoltre, anche la sua problematica, pur muovendo da classici
interrogativi filosofici, si fa sempre più specifica, così come i risultati
raggiunti acquistano un sempre più forte spessore matematico. Questo non vuol
dire però che l'indagine sui fondamenti non offra più nessun interesse per la
filosofia: basterà ricordare che essa mette in luce un fatto di enorme rilievo
epistemologico, cioè che opzioni
filosofiche diverse circa la natura degli enti e dei ragionamenti matematici
possono dar luogo a teorie matematiche diverse (v. epistemologia).
La problematica dell'indagine sui fondamenti si lascia sostanzialmente
ricondurre a due grandi ordini di questioni: di carattere ontologico (Cosa è un
numero? Cosa è un insieme, o una funzione? Cosa è un ente matematico?) e di
carattere epistemologico (Cosa è una definizione, o una dimostrazione
matematica? Cosa è una procedura effettiva di computo? Qual è il carattere del
ragionamento matematico? E' affidabile?).
Prima di analizzare le risposte che, a partire dalla fine dello scorso
secolo, sono state date a questi interrogativi, è necessario accennare a due
importantissimi fenomeni che si sono verificati nella matematica
ottocentesca.
La matematica dell'Ottocento è caratterizzata da un forte atteggiamento
rigoristico: in particolare, si sente l'esigenza di arrivare ad una
chiarificazione e sistematizzazione dei principali concetti dell'analisi (numero
reale, funzione, limite, continuità, ...), un
settore che aveva conosciuto nel secolo precedente uno sviluppo tanto ricco di
risultati e di applicazioni quanto caotico e confuso nelle premesse teoriche.
Tale esigenza trova realizzazione nel filone riduzionista, attraverso i lavori
di matematica di autori quali Gauss, Cauchy e Weierstrass, per giungere a
compimento con la cosiddetta aritmetizzazione dell'analisi (la riconduzione
della teoria dei numeri reali a quella dei numeri naturali), per opera di Cantor
e Dedekind.
Parallelamente, scoperte di fondamentale importanza in campo algebrico e
geometrico (le algebre delle grandezze astratte, le geometrie non euclidee)
determinano la cosiddetta rivoluzione assiomatica, caratterizzata da un nuova
concezione del concetto di teoria matematica.
Alla coppia "modello intuitivo - sistema di concetti e assiomi che lo
descrivono", legata alla vecchia concezione assiomatica euclidea, si
affianca ora la coppia "teoria astratta - modelli possibili di essa",
caratteristica del nuovo atteggiamento
che tende sempre più a vedere nella non contraddittorietà, e non nella
intuizione contenutistica, l'elemento fondante e legittimante le teorie
matematiche possibili.
Ricollegandosi agli esiti del processo di aritmetizzazione dell'analisi,
Frege riesce a dare una definizione del concetto di numero naturale all'interno
della pura logica, dopo aver provveduto ad una vera e propria rifondazione (e
potenziamento) della logica stessa. Contemporaneamente, Cantor sviluppa la
propria teoria degli insiemi transfiniti, aprendo nuovi orizzonti alla
matematica. Questa situazione, in cui la matematica sembra finalmente essere
stata fondata, viene messa in crisi dalle grandi antinomie che, a cavallo dei
due secoli, si scoprono all'interno sia della teoria del transfinito (antinomie
di Cantor e di Burali Forti) sia del sistema logico freghiano (Russell, 1902).
Tali antinomie, incidendo direttamente sul più naturale dei meccanismi
razionali, quello connesso al passaggio da una proprietà alla sua estensione
(principio di comprensione), riaprono - e a un livello ben profondo - l'antico
dibattito sulla natura degli enti matematici.
I diversi tentativi di localizzare ed evitare le antinomie diverranno
altrettante contrastanti proposte di fondazione della matematica.
Per Poincaré, alla radice delle antinomie stanno le "definizioni
impredicative", ossia quelle in cui
si definisce un ente facendo riferimento a totalità cui tale ente appartiene.
Tali definizioni, se gli enti matematici - come pensa Poincaré - non sono
indipendenti dall'attività conoscitiva, ma vengono da questa chiamati in
essere, ovvero costituiti, vanno respinte perché illecite. L'indirizzo
predicativista, che ha in Poincaré e in Weyl i suoi massimi rappresentanti,
accetterà come enti matematici solo i numeri naturali (la cui totalità è un
dato primitivo) e quegli enti che si possono costruire mediante definizioni al
più facenti riferimento alla totalità dei numeri naturali. In questo quadro
teorico si riesce però a ricostruire solo una porzione dell'intera
matematica.
Russell, anch'egli convinto che le definizioni impredicative stiano alla
base delle antinomie, tenta di fondare l'intero edificio matematico sulla base
della teoria dei tipi, in cui convivono - non senza difficoltà - istanze di
carattere sia platonista che concettualista.
I successivi sviluppi del logicismo russelliano (come la teoria semplice dei
tipi, e le varie teorie assiomatiche degli insiemi) tenderanno decisamente a una
posizione platonista.
Il programma formalista (iniziato da Hilbert) parte dal proposito di
giustificare tutta quanta la matematica, anche quella che fa uso essenziale del
concetto di infinito attuale (il "paradiso di Cantor"), e si ricollega
al filone della rivoluzione assiomatica ottocentesca. Fondare la matematica
significa, per Hilbert, innanzitutto formalizzare completamente le teorie
matematiche (esplicitandone non solo il linguaggio e gli assiomi, ma soprattutto
i meccanismi logico deduttivi), e quindi dimostrare la non-contraddittorietà
(che è ora una questione formale) di esse entro la metamatematica, quella parte
della matematica contenutistica che non fa mai ricorso a una evidenza di tipo
infinitario - la matematica finitista -, e che perciò non deve a sua volta
essere giustificata. I teoremi limitativi dimostrati da Gödel (1930-31) mettono
però in luce l'impossibilità di una fondazione formalistica già della sola
aritmetica, almeno entro i limiti dell'originario programma hilbertiano.
L'intuizionismo, il cui fondatore è l'olandese Luitzen E. J. Brouwer,
assume una posizione costruttivista ancor più radicale di quella del
predicativismo, ammettendo solo i processi generativi, e non le totalità in
atto cui essi danno esito, ed accettando, come criterio matematico di esistenza
(sia per enti che per procedure) solo effettive costruzioni.
Su tali premesse è stata elaborata una matematica intuizionista, pienamente
legittima e tuttavia in molti punti divergente dalla matematica classica.
Dopo gli anni Trenta, assieme a una progressiva specializzazione e
settorializzazione dell'indagine fondazionalistica (con l'istituzionalizzarsi,
entro la logica matematica, di discipline quali la teoria
degli insiemi, la teoria dei modelli, la teoria della dimostrazione e la
teoria della recursione), si assiste ad un graduale "allentamento"
dell'interesse per la problematica ontologica e epistemologica di portata più
generale (sulla natura degli enti e del ragionamento matematico, e sulla
fondazione di tutta la matematica).
Le indagini si sono piuttosto concentrate su problemi più ristretti, come
quello dell'effettivamente eseguibile, o su concetti particolari, quale quello
di dimostrazione. Ciò non esclude che questo tipo di ricerche non possa portare
all'elaborazione di nuove prospettive fondazionalistiche generali, e che
comunque non siano in grado di offrire spunti di riflessione al di fuori
dell'ambito della logica e della matematica.
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