Strumentazione oceanografica

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I primi strumenti adoperati nello studio degli oceani sono stati lo scandaglio, che forniva la profondità dell'acqua nel punto della misura, e la benna, che portava sul ponte della nave sedimenti del fondo marino e campioni del suo habitat. Questi furono i principali mezzi tecnici utilizzati dalla spedizione inglese Challenger (1872-76) nel suo storico viaggio per costruire la mappa dei fondi oceanici.

Nel 1900 si poterono calare a grandi profondità i termometri a rovesciamento che venivano fatti funzionare da un peso (messaggero) mandato giù lungo il cavo per effettuare la misura locale, la cui lettura restava inalterata mentre il termometro veniva riportato a galla attraverso strati d'acqua a temperatura differente. Campioni d'acqua venivano prelevati da tutte le profondità degli oceani per mezzo delle bottiglie Nansen, contenitori metallici di forma cilindrica con le estremità che potevano essere chiuse da un messaggero. Sia i termometri che le bottiglie per campionamento potevano essere calate in gruppi distanziati, montati spesso in colonna, con ciascuna unità in grado di liberare un nuovo messaggero che attivava l'unità successiva.

All'epoca della prima guerra mondiale esistevano dei dispositivi acustici a riflessione con i quali era possibile misurare il tempo che il segnale impiegava a raggiungere il fondale oceanico e ritornare (v. idrofono). In seguito è stata sviluppata una grande varietà di strumenti specializzati per esperimenti sia in alto mare che presso le coste.

Attualmente sono disponibili molti strumenti oceanografici per misure sia a grandi profondità che in vicinanza delle coste. Dati complessi sulle onde degli oceani vengono ottenuti per mezzo di sensori di pressione subacquei, traccianti acustici di profili orientati verso l'alto e strumenti di tipo elettromagnetico. Le correnti oceaniche sono seguite al largo mediante galleggianti a profondità costante, che rivelano la propria posizione mediante sistemi acustici. Le correnti dei fondi marini vengono osservate con inclinometri a filo di nylon. Nelle zone vicine alle coste le correnti sono seguite per mezzo di oggetti che vanno alla deriva, in plastica o in legno, o si effettuano su di esse delle misure locali con strumenti subacquei che operano in base a una varietà di principi fisici. I moti ondosi e quelli provocati dalle maree vengono studiati di solito con celle a pressione o galleggianti fissi collegati a dei registratori.

Tutti questi strumenti e sensori, e centinaia di altri, devono essere progettati in funzione del loro impiego. La maggior parte delle navi oceanografiche utilizzate oggi hanno almeno una incastellatura ad A, o gru, per poter calare strumenti senza che urtino sulle fiancate. Alcuni di questi possono funzionare su boe galleggianti o sommerse, registrando i dati su nastro magnetico o trasmettendoli via radio ai mezzi in superficie.

Misure di tipo fisico.

Mediante cellule fotoelettriche a tenuta d'acqua o dischi di Secchi, si ottengono informazioni sulla trasparenza dell'acqua o sulla quantità relativa di luce solare o artificiale che attraversa una distanza nota per strati d'acqua (v. turbidimetro). Questi dati sono importanti per qualsiasi considerazione sulla vita del mare, in quanto la quantità relativa di energia solare assorbita a una certa profondità dipende dalla trasparenza.

La temperatura dell'acqua attualmente viene misurata di solito mediante un sensore elettronico, spesso un termistore (una resistenza elettrica particolarmente sensibile alle variazioni di temperatura). Un famoso strumento per registrare la temperatura, usato per molti anni, è il batitermografo a cavo, che effettua il grafico della temperatura in funzione della pressione su una lastra di vetro affumicato. La profondità viene misurata mediante una cella aneroide (una scatola dalle pareti flessibili sensibile alla pressione) e la temperatura con una termocoppia che pilota un pennino. Altre misure di tipo fisico che vengono abitualmente effettuate sul mare sono quelle della velocità del suono locale, della conducibilità elettrica, del punto di congelamento e della entità della turbolenza, o viscosità turbolenta, nella massa d'acqua.

Misure chimiche.

La salinità, o contenuto di sali disciolti, dell'acqua del mare è probabilmente il più importante parametro chimico da misurare alla foce di un fiume o in un estuario (v. salinometro). Molte altre sostanze disciolte, come alcuni metalli pesanti dannosi per la salute (di solito rame o mercurio) vengono spesso trovate nell'acqua in concentrazioni di qualche parte per miliardo. La rivelazione di queste sostanze richiede pertanto sofisticate analisi chimiche, di solito compiute in un laboratorio a terra.

Un altro parametro fondamentale del grado di inquinamento di un campione di acqua è la quantità di ossigeno ivi disciolta. L'ossigeno viene misurato spesso facendogli ossidare idrossido manganoso che reagisce quindi con un acido e ioduro di potassio liberando iodio, che viene misurato. Attualmente sono disponibili molti misuratori elettronici dell'ossigeno disciolto.

Strumenti per misure sul fondo marino.

Il fondo marino viene studiato abitualmente con il metodo del dragaggio o del carotaggio. Dopo che i tubi di trivellazione sono stati calati in prossimità del fondo, si lascia girare liberamente il verricello e il carotatore affonda nel sedimento trascinato da una zavorra del peso di una tonnellata o più. L'estremità inferiore, aguzza e cava, può penetrare in sedimenti teneri per una profondità fino a 10 m. Il materiale rimane trattenuto entro un tubo interno da un apposito estrattore di carote.

Campioni estratti da grandi profondità sono ottenuti per mezzo di sistemi di perforazione appositamente progettati. Due navi equipaggiate con sistemi simili sono state il Glomar-Challenger del Deep-Sea Drilling Project e il JOIDES Resolution dell'Ocean Drilling Program. Si ottengono sonde per profondità maggiori usando sorgenti di forti segnali acustici. Gli impulsi possono penetrare per migliaia di metri sotto il fondo, inviando echi che danno informazioni sugli strati di roccia sottostanti.

Sommergibili e habitat.

Gli oceanografi possono esplorare l'oceano direttamente, usando mute o scafandri (v. subacquea, immersione), ma per le maggiori profondità è necessaria una imbarcazione speciale. Il primo sistema di questo tipo fu la batisfera, un involucro sferico in acciaio costruito nel 1930, che veniva calato e sollevato mediante cavi. Alla fine degli anni Quaranta il francese August Piccard sviluppò il suo primo batiscafo, un'imbarcazione che poteva immergersi e risalire con i propri mezzi e in pochi anni un modello avanzato aveva esplorato la più profonda fossa oceanica.

Da allora sono stati costruiti diversi veri e propri sommergibili a scopo oceanografico. Uno dei più importanti è l'Alvin, progettato da Allyn Vine della Woods Hole Oceanographic Institution. A metà degli anni Ottanta l'Alvin fu impiegato per studiare le fessure idrotermali, ed anche per una ricognizione del relitto del transatlantico Titanic. Questi sommergibili, come i sistemi automatici manovrati a distanza (ROV, Remoted Operated Vehicles), possono essere dotati di molti strumenti e telecamere, nonché di bracci meccanici per prelevare campioni.

Con lo sviluppo di sistemi di respirazione avanzati a partire dagli anni Sessanta sono stati compiuti anche molti tentativi per creare degli habitat sul fondo marino. L'oceanografo francese Jacques-Yves Cousteau ha guidato diversi di questi programmi. Attualmente l'habitat NOAA chiamato Aquarius sostituisce l'Hydrolab, che fu utilizzato per circa 200 missioni prima di essere ritirato nel 1985. Con questi habitat si possono condurre ricerche oceanografiche di alto livello, ma la loro funzione principale è l'indagine sulle capacità umane di adattamento sott'acqua.

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Questa pagina è stata realizzata da Vittorio Villasmunta

Ultimo aggiornamento: 27/02/16