Quando s'inaridì il Mediterraneo. Periodicamente variano livello e salinità 

di Stefano Zanoli
(pubblicato il 29 settembre 1999 su TuttoScienze)

UN recente articolo sulla rivista Nature ha riproposto un tema caro ai geologi: la "crisi di salinità del Messiniano", le cui cause e implicazioni sono state, negli ultimi trent'anni, aspramente dibattute. 

Ma che cos'è una "crisi di salinità"? Negli Anni 70 il programma di perforazione Deep sea drilling project (Dsdp) portò all'inaspettato ritrovamento di estesi e spessi depositi di solfati e cloruri nel sottosuolo dei fondali profondi di gran parte del Mediterraneo. La loro presenza segnala che a un certo momento della storia geologica vi è stato un aumento anomalo della concentrazione di sali nelle acque. Depositi salini di età Messiniana affiorano discontinui a terra un po' su tutta la penisola italiana, e in passato i geologi li avevano sempre interpretati come prodotto di precipitazione in piccoli bacini locali, isolati dal mare aperto. 

I sondaggi Dsdp dimostrarono invece che la crisi evaporativa aveva colpito l'intera regione del Mare Nostrum. Nel Messiniano il Mediterraneo divenne un grande bacino chiuso, isolato dall'Atlantico. Il deficit di bilancio idrico che affligge questo mare (la perdita per evaporazione supera le entrate di piogge e fiumi) portò in alcune centinaia di migliaia di anni a una progressiva stagnazione e sovrassaturazione salina: fino alle condizioni per la precipitazione di carbonati, solfati e a volte dei solubilissimi cloruri. 

Lo spessore di questi depositi salini impacchettati entro argille marine profonde può superare il migliaio di metri. Hsu, Ryan e Maria Bianca Cita, a capo del progetto DSDP, suggerirono essere all'origine di questi depositi ripetuti cicli di isolamento intervallati da brevi influssi di acque atlantiche. 

Nei periodi di isolamento il deficit idrico faceva abbassare il livello del mare del Mediterraneo, portando alla sovrassaturazione dei sali, e a metà del Messiniano un maggiore episodio di interruzione degli scambi portò al disseccamento quasi completo del Mediterraneo. La fine della crisi è segnalata dagli strati basali del Pliocene, con faune fossili di chiara provenienza atlantica e assenza dei sali evaporitici. Uno dei punti irrisolti in questo quadro è se la causa dell'isolamento possa essere imputata a puro eustatismo (un abbassamento globale del livello marino) o tettonica (innalzamento nella zona dello stretto betico). 

Per capirlo bisogna datare le fasi della crisi di salinità e sincronizzarle con gli eventi geologici extra-mediterranei registrati nelle successioni sedimentarie oceaniche. Queste datazioni e correlazioni vengono solitamente fatte dai geologi sulla base del contenuto paleontologico: ma in questo caso l'assenza di fossili nelle successioni marine più continue del Messiniano, non permette accurate calibrazioni con quegli eventi globali che hanno lasciato traccia nelle successioni stratigrafiche del resto del mondo. Ed è qui che intervengono gli autori del nuovo lavoro pubblicato sulla rivista. Per datare le varie tappe della crisi di salinità, Krijgsman e colleghi si sono affidati a un nuovo orologio del tempo geologico: l' "astrocronologia", basato sul riconoscimento degli effetti sui sedimenti da parte delle regolari oscillazioni climatiche legate a cicli astronomici. Per esempio il numero di cicli pre-evaporitici ed evaporitici del Messiniano (argilla + argilla bituminosa e gesso + argilla) corrisponde al numero di cicli di precessione (circa 26.000 anni) nello stesso intervallo di tempo. Partendo dalla classica datazione radiometrica dell'inizio del Messiniano (7,2 milioni di anni fa), si ottiene che: 

a) la prima metà del Messiniano, tra 7,2 e 6 milioni di anni, vede la progressiva stagnazione delle acque mediterranee; 

b) la crisi di salinità vera e propria (isolamento del Mediterraneo) comincia ovunque contemporaneamente a 5,96 milioni di anni. Proprio in questo momento è stato indipendentemente riconosciuto un aumento del tasso di espansione della crosta oceanica atlantica. 

Sembra dunque che la prima causa della chiusura dello stretto betico possa essere imputata a un incremento dell'attività tettonica. Il periodo della precessione coincide con particolari fasi di minima insolazione e di massima aridità, durante le quali si concentravano le brine saline. Contando i cicli di evaporazione si copre tutto l'intervallo del Messiniano Superiore: rimane "scoperto" solo un piccolo intervallo di tempo, compreso tra 5,59 e 5,50 milioni di anni, durante il quale probabilmente il Mediterraneo si disseccò quasi completamente, portando il Rodano, l'Ebro e il Nilo a incidere i suoi fondali fino a oltre 2000 metri di profondità. All'inizio del Pliocene un innalzamento del livello del mare portò di nuovo l'Atlantico sopra la soglia di Gibilterra: le acque oceaniche cominciarono allora a rifluire e riempire di nuovo il grande mare salato. 

E ora un suggerimento a chi voglia osservare da vicino gli strati del Messiniano, materica memoria di questo breve intervallo della storia geologica. Risalite la valle del Santerno, nell'Appennino romagnolo (da Imola), fino a Tossignano. Qui affiora l'erta Vena del Gesso, con i suoi limpidi cristalli di solfato, impacchettata nelle argille marine pre-Messiniane e Plioceniche. Altri importanti affioramenti sono quelli classici della Sicilia (tra Caltanissetta ed Enna), dove la crisi si protrasse da 5,96 a 5,3 milioni di anni con deposizione anche di salgemma. In Romagna e nel bacino adriatico invece gli strati della parte finale del Messiniano contengono faune salmastre, segno che in questa parte del Mediterraneo gia' prima del Pliocene vi erano stati influssi di acque dolci, provenienti da Oriente, dai bacini della cosiddetta Paratetide, i cui residui oggi vediamo nel Mar Caspio.



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Ultimo aggiornamento: 27/02/16